Un sguardo sulla crescita della collassologia in Francia scritto per noi da David Clément.
Il movimento e corrente di pensiero chiamata “collapsologie” (“collassologia” in italiano) sta guadagnando visibilità in Francia, in un contesto internazionale di maggiore consapevolezza dei problemi legati ai cambiamenti climatici. Questo termine, che deriva da “collapse” inglese (collasso), può risultare spaventoso poiché associato all’idea di un futuro terribile per gli uomini. Ma la corrente di pensiero collassologico, almeno nella sua versione più diffusa, non cade in un catastrofismo amorfo, senza rimedio. Al contrario, cerca di mettere in evidenza linee di riflessione e di azione per consentirci di affrontare i drastici cambiamenti prevedibili per un prossimo futuro, verso i quali siamo certamente già avviati.
Il termine collassologia evoca ovviamente i pericoli che l’umanità dovrà affrontare: i cambiamenti climatici, l’esaurimento delle risorse e delle materie prime, le modifiche dei cicli della biosfera da parte delle attività umane – ciclo di carbonio, acqua, fosforo – , difficoltà di trasporto, … Sviluppi che porterebbero a un drastico cambiamento negli equilibri che governano le nostre società e il nostro pianeta oggi, vale a dire niente meno che lo stravolgimento del mondo nel quale viviamo. Va inoltre sottolineato che le analisi condotte da questa corrente di riflessione sulla situazione esistente assumono un approccio scientifico, che si basa su studi esistenti e su una comunità di scienziati che partecipano al movimento. Il movimento condivide gli studi dell’IPCC (International Panel on Climate Change) sul clima o quelli relativi alla decrescita. Figure di spicco come l’agronomo Pablo Servigne o l’esperto in resilienza dei sistemi socio-ecologici Raphaël Stevens fanno parte della corrente di pensiero francese della collassologia.
I collassologi condividono quindi, con un numero crescente di persone, analisi scientifiche sul clima, sulle risorse naturali e sull’impatto delle attività umane. Per questo movimento, tuttavia, non si tratta solo di elaborare un’osservazione sui vari aspetti che abbiamo appena menzionato, limitandosi a rappresentare un futuro catastrofico sotto diversi aspetti. Da un lato, viene proposta una riflessione globale sul funzionamento delle nostre società, del nostro pianeta e delle loro varie interazioni, sotto forma di analisi di sistemi complessi. D’altra parte, i collassologi desiderano costruire oggi le basi, sotto forma di resilienza, che ci permetterebbero di continuare a vivere serenamente dopo il crollo.
Se è vero che i collassologi condividono analisi scientifiche sull’evoluzione del clima e della biosfera e sulle conseguenze dell’attività umana su di esse, è altrettanto vero che essi orientano anche la riflessione verso terreni meno scientificamente stabili, quelli di sistemi complessi. Si tratta cioè di descrivere l’insieme dei legami di dipendenza delle società umane e della Terra, al fine di comprendere i meccanismi alla base di queste interconnessioni. Ad esempio, per descrivere il tipo di collasso che dovremmo affrontare, viene proposto un confronto con le transizioni di fase descritte dalla fisica dei media complessi: in un sistema composto da pochi attori e poche connessioni, il deterioramento di alcune connessioni porta immediatamente all’avvio di una lenta evoluzione dell’intero sistema; al contrario, in un sistema complesso, fatto di molte interconnessioni, come il nostro, il deterioramento sarà inizialmente compensato dal sistemo stesso per mantenersi nel suo stato globale, fino a quando non si verificherà un cambiamento improvviso, quando le compensazioni diventeranno impossibili. È questo secondo scenario che è previsto dai collassologi per il nostro futuro. È uno scenario che viene anche da loro usato per spiegare perché non abbiamo ancora sperimentato una trasformazione profonda dovuta al fatto che per diversi decenni abbiamo consumato più risorse di quante ne possa produrre la Terra (il verificarsi regolare di fenomeni climatici estremi o la volatilità nei mercati finanziari delle materie prime negli ultimi anni potrebbe minare questa osservazione). La conseguenza di questo secondo scenario sarebbe un brutale cambiamento, nel corso di un arco temporale ridotto, del nostro ambiente. Queste previsioni di un rapido collasso non hanno solide basi scientifiche e sono più che altro ipotetiche. Tuttavia, riflettere sul ruolo e l’importanza delle diverse connessioni del complesso sistema umano-Terra potrebbe generare nuove idee e indirizzare azioni future.
Per i collapsologi, non c’è dubbio che prima o poi raggiungeremo la fine del mondo in cui viviamo. L’Antropocene come lo conosciamo oggi non può essere sostenibile. In questo, il movimento afferma una constatazione che va al di là di quelle proposte da altre correnti di pensiero a partire da osservazioni simili sullo stato del nostro pianeta. Ad esempio, la collassologia si spinge più lontano rispetto a molti movimenti ecologisti, considerando che nessuna energia alternativa (rinnovabile o di altro tipo) è in grado di fornire energia a basso costo e concentrata come i combustibili fossili, e che sarà quindi necessario riprogettare e riconfigurare la maggior parte delle nostre infrastrutture (trasporti, elettricità, edifici, sistemi alimentari) che sono state tutte progettate in relazione alle caratteristiche del petrolio, del gas naturale e del carbone (vedi nucleare, come in Francia).
Va notato che questi punti sono stati oggetto di molte riflessioni da parte delle correnti che sostengono la decrescita e di cui si nutre la collassologia. In effetti, possiamo notare che un’istituzione come il Institut Momentum (www.institutmomentum.org) che promuove la collassologia in Francia proviene dal movimento ecologista e per la decrescita. Il suo presidente non è altro che Yves Cochet, ex deputato europeo ed ex ministro dell’Ambiente, e vicino a teorici della descrescita come Serge Latouche.
Una delle forti caratteristiche del movimento della collasologia è la promozione di un atteggiamento consapevole e attivo nei confronti dei rischi identificati e la necessità di un cambiamento radicale nell’organizzazione delle nostre società. Cercando di andare oltre l’osservazione del futuro collasso precedentemente introdotto, il tema dello sviluppo della resilienza è un obiettivo centrale del movimento. È promosso in modo positivo e creativo, con un ruolo fondamentale attribuito all’immaginazione: il mondo post-collasso è interamente da inventare! Questo atteggiamento si riflette sia nelle parole d’ordine che nei titoli delle riviste (“Crollo e rinnovo” è quello della rivista Yggdrasil). Nell’ideologia del collassologo, l’utopia ha cambiato orizzonte : è utopico credere che tutto possa continuare come prima. Al contrario, il collasso sarebbe l’inizio di un futuro da costruire.
Al fine di anticipare il collasso futuro, la collassologia invita a organizzarsi ora. Pertanto, possiamo citare la promozione del ripristino degli ecosistemi, l’istituzione di nuovi sistemi alimentari, l’uso del territorio, la permacultura rurale e urbana, lo sviluppo delle energie rinnovabili e l’autonomia energetica, l’economia cooperativa, i vari tipi di resilienza, la solidarietà pratica, nuove forme di democrazia. Ancora una volta, molte di queste proposizioni non sono specifiche di questo movimento, che tuttavia propone con forza lo sviluppo della resilienza a livello locale.
Alla base di questo atteggiamento c’è una doppia osservazione: da un lato, le decisioni globali (europee e internazionali) sembrano politicamente impossibili; dall’altro lato le questioni legate al cambiamento climatico dipendono dalla posizione geografica considerata (tra le montagne e il bordo degli oceani per esempio). Se è difficile non condividere questa doppia osservazione, suscita qualche perplessità la volontà di alcuni collassologi di sviluppare comunità regionali, sviluppando la resilienza adeguata al loro territorio e alla loro storia, in contrapposizione a quelle delle regioni confinanti. L’idea di un certo ripiegamento all’interno di una comunità regionale puo` essere discussa da un punto di vista sociale. Evitando queste derive, è comunque stimolante interrogarsi sulla rilevanza del livello locale per costruire un’alternativa al mondo attuale e sul networking a livello globale esistente fra queste resilienze locali.
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Foto di copertina: yggdrasil-mag.com
Nei giorni che hanno seguito le elezioni europee tutti gli editorialisti hanno avuto voglia di spiegare ai Verdi italiani come si fa a fare un partito ecologista nel nostro paese. Noi pensiamo che per rilanciare la Federazione dei Verdi non servano alchimie elettorali né esistano scorciatoie. Dobbiamo continuare lavorare per dare solidità e gambe alla nostra intuizione di futuro. Un futuro in equilibrio, un futuro giusto, un futuro che si può costruire solo a partire da legami di fiducia.
Il 12 Luglio dedichiamo una serata all’ascolto. Ascolto di tre esperienze diverse, di tre persone a cui abbiamo chiesto di proporci una riflessione incentrata su tre parole: equilibrio, giustizia, fiducia.
Rossella Muroni, attivista ecologista già presidente di Legambiente e, dal 2018, deputata di Liberi e Uguali,
Michele de Palma, impegnato per i diritti sociali fin da studente oggi è il coordinatore nazionale Fiat-auto della Fiom-Cgil.
Roberto Covolo, è un imprenditore e uno sperimentatore sociale,oggi è assessore alle attività produttive a Brindisi.
Sarà l’occasione per respirare un po’ di politica alta, per meditare parole di speranza. Vi aspettiamo dalle 20:00 per un aperitivo (preparato dalla CDP, al costo di 8€) l’evento inizia alle 21:00 nel giardino della Casa del Popolo di Settignano.
Oggi in tutto il mondo ragazze, ragazzi, donne e uomini faranno sentire la loro voce. Chiederanno alla politica di fare qualcosa per disinnescare la bomba climatica che abbiamo creato con le nostre mani e che sta iniziando concretamente a mettere a repentaglio la vita di tante persone e comunità sul pianeta.
Ci uniremo a loro senza simboli, ma come organizzazioni politiche, il nostro compito è soprattutto dare risposte concrete.
Per questo invitiamo tutti i candidati sindaci per Firenze, indipendentemente
dal loro colore politico, ad incontrarsi nei giorni successivi la
manifestazione e sottoscrivere, tutti assieme, l’impegno ad adottare la strategia Rifiuti Zero così come adottata dal
Comune di Capannori con la delibera 44 del 14 Giugno 2007 e adottata in seguito
da 232 comuni italiani.
Perché proprio rifiuti zero e non un’altra misura di abbattimento delle emissioni?
Articolo Uno, Firenze
Federazione dei Verdi, Firenze
Firenze Città Aperta
Italia in Comune, Firenze
Partito della Rifondazione Comunista, Firenze
Possibile, Firenze
Senso Comune, Firenze
Sinistra Italia, Firenze
La parola fiume può evocare in molti di noi immagini e pensieri diversi.
Se la ascolta un naturalista, penserà a un importante corridoio ecologico , che fornisce habitat a tante specie.
Se la ascolta un pescatore, penserà ad un argine sul quale trascorrere una piacevole giornata con una canna da pesca.
Se la ascolta un ingegnere, penserà a un grosso “tubo” idraulico che deve portare via l’acqua il più velocemente possibile, specialmente in caso di grosse piogge. D’altro canto, un esperto di energia penserà alla possibilità di sfruttare una fonte rinnovabile per produrre energia.
Se la ascolta un ecologo, ai numerosi servizi ecosistemici resi dal fiume, un amante delle escursioni, a un bel sentiero da fare a piedi o in bici, magari abbinandolo a una nuotata d’estate.
Se la ascolta un amministratore lungimirante, può pensare ad un contratto di fiume.
Questo termine, che potrebbe non suonarvi molto familiare, perché non si ascolta nei talk show televisivi, perché i dibattiti politici non si occupano granché dei fiumi, ha in realtà ricadute molto importanti.
Si tratta di uno strumento giuridico che permette di assemblare i vari tasselli del mosaico fiume: gli aspetti economici, ecologici, idrogeologici e quelli legati alla vivibilità.
Il tema dei corsi d’acqua non entra nelle campagne elettorali ed è un paradosso, se pensiamo che le città sono da sempre nate vicino ai fiumi, dalle grandi civiltà mesopotamiche sulle rive del Tigri e l’Eufrate, alla civiltà egiziana sulle rive del Nilo, all’accampamento militare che i romani fondarono nel 59 a.c che prese poi il nome di Florentia.
I Verdi Firenze, anche in questo, vogliono andare controcorrente, portare il fiume Arno e i suoi affluenti nella campagna elettorale della città, con una proposta forte: quella di un contratto di fiume per Arno fiorentino e torrenti fiorentini.
Tale contratto nasce con il fine di raggiungere nella consiliatura quegli obiettivi stabiliti da alcune direttive europee, in particolare la direttiva acque (2000/60/CE) e la direttiva habitat (92/43/CEE), da ormai oltre 20 anni.
Tali obiettivi, che in parole semplici mirano a rendere l’ambiente più forte e funzionale, più fruibile e godibile, integrando le competenze e le azioni dei numerosissimi attori in gioco, per un fiume vanno dal comune al consorzio di bonifica, al genio civile della regione, alle associazioni ambientaliste, al gestore dell’acqua e a quello dei rifiuti, all’ARPAT.
Oltre a questo, i Verdi Firenze si propongono di sbloccare il progetto di mini idroelettrico, approvato ormai 10 anni fa e oltre, riguardante le briglie dell’Arno, e che può produrre una quantità piuttosto rilevante di energia pulita per il territorio fiorentino.
Si tratta ovviamente di proposte molto articolate e che richiedono un approfondimento superiore a quello di un post sui social.
Proprio per questo è possibile trovare la nostra proposta dettagliata cliccando questo link.
In questi giorni si parla molto di abbattimenti di alberi. La sovrintendenza ha criticato la scelta di spostare i filari di tigli nel viale Matteotti per permettere il passaggio della tramvia, il Sindaco Falchi è stato bersagliato di critiche per l’abbattimento di decine di alberi nel comune di Sesto Fiorentino. Al di là dei singoli casi è importante un cambio di rotta nella gestione del verde pubblico delle nostre città, e nella cura degli alberi in particolare.
Nello squilibrio ambientale della città contemporanea (dovuto sia al calore, che alle polveri e agli inquinanti prodotti dalle attività cittadine, sia alla conformazione del tessuto della città) il verde urbano contribuisce alla qualità abitativa della città stessa. Il verde pubblico a Firenze è fatto di parchi, giardini e alberature stradali, con oltre 75mila alberi ad alto fusto presenti in città.
Questo enorme patrimonio è fonte di importanti servizi ecosistemici: mitigazione climatica, generazione di habitat e dunque conservazione di biodiversità, assorbimento di CO2, azione antisettica, attenuazione dei rumori, difesa del suolo. Negli ultimi anni il moltiplicarsi di eventi estremi, con venti superiori talvolta ai 100 km/h e la caduta di piante, ha suscitato in molti cittadini e talvolta anche amministratori uno sguardo sospettoso verso l’albero, sguardo favorito anche da un approccio allarmistico di parte della stampa. Di fronte a questo, sebbene sia pacifico che le alberature stradali possano essere soggette a stress maggiori rispetto a quelle presenti negli habitat naturali e possano talvolta aver bisogno di essere sostituite, ritengo che molti degli interventi degli ultimi anni siano stati dettati da un eccesso di preoccupazione e di allarmismo, con abbattimenti talvolta di decine di piante che non sempre erano classificate come pericolose.
Non sono tra quelli che ritiene che i comitati siano sempre dalla parte giusta: quando in Viale Morgagni qualcuno, intorno al 2009, saliva sugli alberi per impedire i lavori propedeutici per la tramvia, presi posizione contraria, come polemizzai con i 5 stelle che nel 2014 volevano impedire i lavori della linea 2 allo Statuto per evitare la sostituzione dei lecci.
Talvolta abbattimenti e sostituzioni possono essere necessari, ma la mancanza di percorsi partecipati e di comunicazione e la mancata trasparenza sono assolutamente da superare.
Altre problematiche che concorrono a una gestione inadeguata del verde pubblico sono il continuo ricorso all’appalto esterno, spesso unito a una mancanza di professionalità sulla gestione dell’alto fusto, nonchè la mancanza di controlli adeguati: l’ufficio di Polizia Ambientale preposto, per carenza di risorse o altro, non è in questo momento in grado di svolgere questo compito, data anche l’impossibilità di contattarlo.
Tra gli obiettivi che deve porsi una amministrazione più “verde” c’è dunque anche questo: l’ordinario non si dovrebbe appaltare. In caso di eventi straordinari ed imprevisti può essere necessario ricorrere ad appalti esterni, ma per operare quella manutenzione che il verde pubblico necessita, il pubblico deve avere le proprie risorse, adeguatamente formate.
Serve poi una sinergia tra il verde pubblico comunale e quello di
altre istituzioni, ad esempio la sovrintendenza, che ha la competenza
su parchi famosi in tutto il mondo come quello di Boboli e quelli delle ville
medicee.
Come Verdi proponiamo:
1) un Open Database sull’alto fusto, una sorta di anagrafe degli alberi per consentire, tanto al comune cittadino come all’addetto ai lavori, di conoscere, per ogni singola pianta del patrimonio pubblico fiorentino, dati georeferenziati riguardanti età, eventuale valutazione di stabilità e classe di rischio, interventi fatti, data di intervento.
2) Protocolli di gestione più avanzati, sia per le potature (è ora di dare uno stop alle capitozzature, che compromettono nel tempo la salute della pianta), che per le sostituzioni, quando necessarie.
3) Privilegiare sostituzioni progressive, così da non lasciare per 5 o 6 anni una piazza o un viale al sole (d’estate ci rendiamo conto quanto importante sia contrastare l’effetto “isola di calore” legata agli altri elementi urbani).
4) Un tavolo permanente del verde fiorentino e un coordinamento tra i vari attori, comune, sovrintendenza, regione, ASL, che eviterà in futuro di avere importanti parchi chiusi al pubblico per mesi o anni, come accaduto con Villa al Ventaglio.
Una gestione del verde pubblico più trasparente, più integrata, più partecipata, più professionale, è quanto necessita urgentemente la nostra città di Firenze.
Andrés Lasso, Candidato Sindaco