Vi ricordate i “100 luoghi” lanciati dall’amministrazione Renzi? Che fine hanno fatto? Le ultime amministrazioni hanno cercato di coinvolgere direttamente i cittadini nei processi di decisione pubblica. Tuttavia “partecipazione” non ha significato cessione di potere decisionale alle comunità locali. Piuttosto il Comune si è limitato a favorire momenti di ascolto per raccogliere punti di vista dei cittadini ma senza che fosse chiaro cosa l’Amministrazione avrebbe fatto di questi spunti. Per i Verdi partecipazione significa fare tesoro del potenziale di idee e delle capacità di realizzazione presenti nelle comunità che vivono nei luoghi della città. Ascoltare è certamente un passo importante, a patto che poi l’Amministrazione sia disponibile a condividere una parte del proprio potere decisionale. Ciò può essere fatto mettendo spazi e risorse a disposizione dei cittadini che hanno idee ed energie. In questo modo la città si arricchisce e si trasforma diventando più inclusiva.
Ascoltare o cedere potere decisionale?
I “100 luoghi” lanciati da Matteo Renzi sono stati un ottimo spot elettorale, a cui però non è seguito un percorso di decisione partecipata e neppure un resoconto delle decisioni prese. Non molto diversamente è andata per le “maratone di ascolto”, proposte dalla giunta guidata da Dario Nardella, che hanno riguardato ad esempio le Cascine e Piazza dei Ciompi. Le maratone, pur offrendo uno spazio di ascolto, non hanno messo in grado i cittadini di incidere realmente sulle decisioni dell’Amministrazione, cioè di partecipare.
In realtà due percorsi partecipativi di grande interesse si sono effettivamente svolti negli ultimi anni nell’aerea metropolitana di Firenze: si tratta dei processi di discussione partecipata riguardo l’ampliamento dell’aeroporto e la realizzazione di una moschea.
Purtroppo, in questi due casi, l’amministrazione comunale si è mostrata incapace di favorire la partecipazione civica in situazioni complesse e conflittuali. Si è arrivati al paradosso in cui processi partecipativi sono stati addirittura ostacolati dall’Amministrazione, che li ha vissuti come un intralcio o una indebita interferenza, anziché come una risorsa utile a risolvere potenziali conflitti.
Siamo convinti che questo atteggiamento faccia perdere a Firenze un’opportunità di sviluppo. Si rinuncia cioè a progettare il futuro della città valorizzando le conoscenze diffuse sul territorio. Inoltre, si manca l’occasione di realizzare una Firenze che rifletta maggiormente le aspirazioni ed i bisogni delle comunità che la vivono. Tuttavia ciò che riteniamo sia più grave è l’atteggiamento difensivo del Comune. Tale chiusura non fa altro che allargare la distanza che divide l’Amministrazione e la popolazione. Quest’ultima vede così tradita l’aspettativa di poter giocare un ruolo nel determinare il futuro dei propri luoghi.
Noi Verdi crediamo che la partecipazione sia una risorsa fondamentale per le comunità cittadine e che il suo ricorso non debba essere occasionale e legato a specifiche contingenze, ma anzi debba rappresentare una modalità abituale di governo. Crediamo che la partecipazione sia necessaria per costruire comunità, senso civico, appartenenza. Siamo convinti che la partecipazione sia il miglior modo valorizzare conoscenze diffuse, capacità e volontà che, fortunatamente, popolano tutti i quartieri della nostra Firenze.
In questo senso, diventa particolarmente importante stimolare la partecipazione anche dei cittadini stranieri. Negli anni la popolazione di nazionalità non italiana residente nel Comune di Firenze è aumentata in maniera significativa, cambiando la geografia sociale di alcuni luoghi come ad esempio di Brozzi, luogo scelto da molti cittadini di provenienza cinese. L’arrivo di comunità straniere ha in alcuni casi prodotto tensioni e difficoltà di convivenza. Noi siamo convinti che il coinvolgimento delle comunità di stranieri nei processi partecipativi sia uno strumento potente per disinnescare la diffidenza reciproca e per offrire nuove soluzioni alle difficoltà di integrazione. Promuovere la partecipazione dei cittadini adulti e bambini, stranieri e non, con disabilità e non, significa promuovere l’integrazione, coltivare la cittadinanza e ispirare ad una maggiore cura della città.
Le cose da fare nei prossimi cinque anni sono tante. Ma secondo noi ci sono alcune priorità.
In ogni quartiere, ci proponiamo di identificare, insieme persone che li abitano, luoghi “problematici”, come immobili abbandonati (pensiamo all’Ex Meccanotessile) o una piazza svuotata della sua funzione (Piazza Pier Vettori è un esempio che sarà familiare a tanti).
Il nostro obiettivo in questo senso è favorire la partecipazione, attraverso un approccio sperimentale. Ciò significa che invece che calare dall’alto destinazioni d’uso e progetti di riqualificazione provare ad autorizzare e incentivare attività temporanee e di eventi che rivitalizzino luoghi e strutture inutilizzate. Un esempio virtuoso è quello del progetto Pop Up Lab che favorisce aperture temporanee di fondi commerciali sfitti a Prato.
Il Comune deve mettere a disposizione finanziamenti a chi ha idee imprenditoriali e progetti associativi per un utilizzo temporaneo di strutture dismesse. È molto improbabile che un consiglio comunale sappia quale destinazione d’uso di uno spazio possa funzionare. Le persone che vivono quotidianamente quegli spazi invece conoscono, molto meglio che non i politici, criticità e potenzialità dei loro luoghi. Occorre dare credito a coloro che vivono il territorio e cominciare a scoprire con loro come possiamo rendere Firenze più inclusiva.
Il coinvolgimento dei cittadini non si deve limitare a progetti circoscritti ma deve essere valorizzato anche riguardo alle scelte di indirizzo per il futuro della città. Per fare ciò è necessario integrare diversi aspetti. Anzitutto rafforzare il ruolo dei quartieri, che potrebbero essere uno strumento eccezionale di inclusione ma che nei tempi recenti sono stati progressivamente svuotati delle loro funzioni. Poi è essenziale garantire occasioni di incontro aperto alla cittadinanza, favorire la partecipazione via web, incoraggiare l’uso dello strumento del referendum consultivo comunale, prevedere una quota del bilancio pari al 3% dedicata a progetti proposti e progettati da gruppi di cittadini.
Affinché la partecipazione sia realmente inclusiva occorrerà prestare attenzione a tutti quei soggetti che riscontrano maggiori difficoltà a partecipare. Assicurarsi che tutte le iniziative siano accessibili alle persone con disabilità e siano conosciute e comprese dai cittadini di origine straniera. Inoltre servirà facilitare l’organizzazione delle iniziative in luoghi/orari/modalità compatibili con le donne e gli uomini sui quali grava la responsabilità di cura.
Infine crediamo che occorra poi cominciare a considerare i bambini non più solo come i cittadini del futuro, ma piuttosto come cittadini del presente, dando loro la possibilità di essere ascoltati nei loro bisogni. Il sentirsi cittadini sin dalla prima infanzia, grazie ad una educazione alla partecipazione civica, rende capaci di impegnarsi nello spazio pubblico in modo spontaneo ma al contempo strutturato.
(Foto di copertina: Arch. Marta Alacevich)